La competizione è parte dello sport.

Insegnare a competere dovrebbe essere uno degli obiettivi di tutti gli allenatori.

Da qualche stagione la Federazione Italiana di Pallavolo ha istituito i trofei S3.

Competizioni sostanzialmente identiche ad una partita di 6v6. Le uniche modifiche, sono il numero di giocatori e la possibilità di fermare la palla una volta (nel primo livello). Per il resto la struttura del gioco è identica. Il servizio rimane alla stessa squadra, fintanto che l’avversario non effettua il cambio palla. C’è una classifica finale e una fase regionale.

Un altro aspetto, legato più all’organizzazione, è l’altezza della rete. Spesso è identica per i due livelli di gioco. Questo favorisce i bambini/e fisicamente più dotati.

Ho commesso l’errore di partecipare a queste competizioni ed è una cosa che in futuro eviterò come la peste.

Toccando con mano questo format, mi sono sorte alcune domande. Che cosa vuole ottenere la Federazione da queste competizioni?

Stiamo preconizzando la competizione come avviene nel calcio. Siamo sicuri sia la strada giusta? Le ricerche in termini di sviluppo e maturazione dei bambini ci dicono il contrario.

Perchè si anticipa la competizione?

Onestamente non ho risposta a questa domanda. Dovrebbe essere la Federazione a fornirci una spiegazione scientificamente valida.

L’obiettivo è quello di individuare talenti? La scarsa validità predittiva degli standard di prestazione dei giovani, è evidenziata dalle statistiche del lavoro di Bloom (1985). Meno del 10% degli adulti di élite di successo hanno raggiunto un livello di prestazione all’età di 11 o 12 anni, sufficiente a indicare che avrebbero ottenuto ciò che alla fine hanno fatto.

Le letteratura sull’identificazione del talento nello sport, mostra che la previsione a lungo termine degli atleti di talento è inaffidabile, soprattutto quando il rilevamento del talento viene tentato durante i periodi di crescita prepuberale o puberale (Vaeyens et al. 2009).

Secondo altri autori, i programmi sportivi giovanili in tutto il mondo, stanno adottando una visione dello sport che si concentra sullo sviluppo a lungo termine degli atleti, sull’elitarismo, sulla selezione precoce e sulla specializzazione precoce, con l’obiettivo esplicito o implicito di sviluppare atleti di livello d’élite (Collins 2010, Côté et al. 2011), invece di concentrarsi sul divertimento a breve termine che deriva dalla partecipazione sportiva.

Tra le altre cose, ad un bambino/a di 6 anni interessa davvero la classifica? Io ho una bambina di 7 anni ma non mi ha mai chiesto la classifica. Certo vuole sapere se ha vinto o perso, stop. La sua preoccupazione è giocare, socializzare e stare con le amiche. La mia risposta è già stata dimenticata.

Siamo sicuri di essere sulla strada giusta? di rispondere alle motiviazioni dei bambini? O stiamo rispondendo alle esigenze di noi adulti?

Fino alla categoria under 12 la pallavolo “dovrebbe” essere promozionale. La Federazione e i comitati Provinciali dovrebbero promuovere lo sport e con esso i valori e i benefici associati.

Nei primi anni (fino all’under 12) l’enfasi per i campionatori dovrebbe essere posta sul divertimento. Le attività dovrebbero essere giocose e divertenti, poiché è noto da tempo che la specializzazione precoce e l’enfasi sulla vittoria sono associate all’abbandono precoce e allo spreco di talento (Gould, et al., 1982; Valeriote e Hansen, 1986). (Documento FIVB)

Un esempio di modello

La letteratura sullo sviluppo degli atleti nello sport, indica chiaramente che i programmi sportivi per i bambini di età inferiore ai 13 anni dovrebbero essere allineati ai bisogni specifici di questa fascia di età.

  • Regolare la durata della stagione a 3 o 4 mesi, con un massimo di 6 mesi.
  • Limitare i viaggi lunghi alle competizioni organizzate.
  • Introdurre programmi sportivi “di base” incentrati sulla sperimentazione di diversi sport.
  • Non implementare un processo di selezione dei bambini più “talentuosi” fino agli anni di specializzazione.
  • Fornire sane opportunità competitive, ma non enfatizzare eccessivamente le vittorie e i risultati a lungo termine come i campionati.
  • Scoraggiare la specializzazione precoce in uno sport.
  • Consentire ai bambini di svolgere tutte le posizioni in un dato sport.
  • Promuovere il gioco deliberato all’interno e al di fuori dello sport organizzato.
  • Progettare attività di gioco e di pratica incentrate sul divertimento e sulle ricompense a breve termine.
  • Comprendere i bisogni dei bambini e non esagerare.

Conclusioni

Esistono modelli per lo sport giovanile, moltissima letteratura, ed esempi concreti di paesi che adottano sistemi diversi dai nostri (qui).

Sicuramente siamo tutti complici e con tutti mi intendo anche io. Ho scelto di partecipare ad una competizione del genere e non lo farò mai più.

Possiamo sicuramente fare meglio. Giornate a tema coinvolgendo altre società. Possiamo alternare la parte competitiva ai giochi (come si faceva una volta). Cambiare formato di gioco ed essere più flessibili nelle regole. Ricordandoci che ci sono i bambini al centro e non il nostro ego di allenatore.

Bibliografia

Collins, M., 2010. From ‘sport for good’ to ‘sport for sport’s sake’–not a good move for sports development in England? International journal of sport policy and politics, 2 (3), 367–379. doi:10.1080/19406940.2010.519342

Côté, J., Coakley, C., and Bruner, M.W., 2011. Children’s talent development in sport: effectiveness or efficiency? In: S. Dagkas and K. Armour, eds. Inclusion and exclusion through youth sport. London: Routledge, 172–185.

Gould, D., Feltz, D., Horn, T. and Weiss, M. (1982). Reasons for attrition in competitive youth swimming. Journal of Sport Behavior, 5, 155-165.

Valeriote, T.A. and Hansen, L. (1986). Youth sport in Canada. In Sport for Children and Youths (Edited by M.R. Weiss and Gould, D.) pp. 17-20. Champaign, Ill: Human Kinetics.

Vaeyens, R., et al., 2009. Talent identification and promotion programmes of Olympic athletes. Journal of sports sciences, 27 (13), 1367–1380. doi:10.1080/02640410903110974.

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